Nuovi episodi di violenta repressione in Myanmar all’indomani dell'appello del Papa in favore di un dialogo pacifico per il ritorno alla democrazia. I manifestanti uccisi dal 1 febbraio, giorno del golpe, sono più di 200, mentre migliaia sono i manifestanti rimasti feriti negli scontri.
La popolazione del Myanmar resiste nelle strade con la speranza che l’attenzione del mondo possa spingere i generali a restituire la parola alla democrazia. La leader birmana Aung San Suu Kji, vincitrice delle elezioni che hanno preceduto il golpe, è tuttora agli arresti e in attesa di processo. Di fronte a questa drammatica situazione la comunità internazionale non è ancora riuscita a varare un’azione concertata.
Diversi paesi europei e la stessa Ue hanno annunciato l’intenzione di colpire gli interessi economici dei militari, ma senza risultati apprezzabili.
Intanto il Myanmar appare sempre più isolato dal resto del mondo. La giunta ha applicato severe restrizioni nell’accesso ad Internet e gli organi di stampa indipendenti sono stati costretti a chiudere. L’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha denunciato l’arresto di almeno 37 giornalisti, cinque dei quali sarebbero morti mentre erano in custodia. Se la situazione non cambierà in fretta – spiegano gli analisti – alla perdita di democrazia si assocerà il pericolo di una grave crisi umanitaria.
Ampi settori economici e produttivi del Paese erano già in sofferenza per le conseguenze della pandemia e le azioni di disobbedienza civile lanciate in queste settimane hanno aggravato la situazione; senza contare la fuga degli investitori stranieri. L’impennata dell’inflazione delle ultime settimane ha reso difficile anche l’approvvigionamento di cibo e carburanti e presto decine di milioni di persone potrebbero trovasi in condizioni di grave emergenza.
19/03/2021
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