Con l’arrivo della stagione estiva e il contemporaneo allentamento delle restrizioni si preannuncia una stagione turistica intensa, con molto “turismo interno” (italiani che viaggeranno in Italia come lo scorso anno) e “in entrata” (stranieri, soprattutto europei dell’area Schengen, vaccinati o con tampone negativo). Non si tornerà ai livelli pre-Covid, ma è sicuramente una boccata di normalità e di lavoro.
Si rimette quindi in moto la macchina del turismo: trasporti, ristorazione, hospitality (gli alberghi sono solo una voce di questa categoria, nonostante la tendenza italiana a pensare che lavorare nel turismo voglia dire lavorare in un albergo), uffici di promozione turistica di comuni e destinazioni varie, lidi balneari, musei, eventi, più tutto l’indotto.
Una macchina che muove il Pil tanto quanto la precarietà. Ed è questa la normalità che torna assieme al lavoro in questo settore.
Un sistema dove le infrastrutture fanno la propria parte nel movimentare le persone e quindi i flussi turistici, dove gli investimenti locali in cultura, salvaguardia del territorio, promozione, soffrono mancanza di pianificazione (planning), di figure professionali qualificate e riconosciute (come il destination manager), e di investimenti, almeno per le regioni che non hanno budget da investire.
Le ripetute e infondate grida di allarme, spesso infarcite di cifre, lo dimostrano. Se tutto fosse fatto, e controllato, come il mercato e la logica (e le leggi) vogliono, le grida di allarme non ci sarebbero. È evidente, altresì, che il sistema turistico, in destinazioni anche diverse tra loro, si sia omologato fino a collassare per i suoi lati oscuri.
Dobbiamo essere contenti di questi “gridi d’allarme”, che dimostrano come i precari del settore, pur se non rappresentati, sono una voce forte e consapevole che ha imparato a dire no. È ora di cominciare a dare risposte alle tante domande del settore turistico, invece di continuare ad accatastarle come sdraio in un lido, a fine giornata.
10/06/2021
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