Nel 2020, a causa della crisi pandemica che ha messo in ginocchio tantissimi settori dell’economia, in Italia circa 450 mila persone hanno perso il proprio posto di lavoro. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese, le cose non andranno certamente meglio, anzi le previsioni sono alquanto catastrofiche, quando a fine giugno e in autunno terminerà il blocco dei licenziamenti, rispettivamente prima per i lavoratori delle grandi e piccole medie imprese e poi per quelli impiegati nelle piccolissime e micro.
A peggiorare ulteriormente la condizione economica degli italiani, è il protrarsi della chiusura delle attività di ristorazione, bar, centri estetici e parrucchieri, imposta dal governo a causa dell’aumento esponenziale dei contagi. Come è ben risaputo, i sostegni a queste categorie, non solo sono tardati ad arrivare ma sono risultati del tutto insufficienti. Quindi molti italiani, per provvedere al sostentamento delle proprie famiglie, hanno cercato vie alternative andando ad alimentare la piaga del lavoro in nero.
La Cgia ritiene che chi “Lavora irregolarmente per necessità non va assolutamente criminalizzato; tuttavia, chi opera completamente o parzialmente in nero fa concorrenza sleale, altera i più elementari princìpi di democrazia economica, danneggiando chi lavora nel rispetto delle leggi.”
Inoltre, l’Associazione pone l’attenzione sull’incomprensibile decisione del governo Draghi di chiudere il settore del benessere che, nei mesi del lockdown precedente, ha dimostrato di aver attuato scrupolosamente tutti i protocolli di sicurezza. Inevitabilmente anche questa scelta non fa altro che alimentare “l’economia sommersa.” Da quanto rilevato, in Italia ci sono “Oltre 3,2 milioni di occupati in nero, il tasso di irregolarità è del 12,9% e tutte queste persone producono un valore aggiunto in nero di 77,8 miliardi.”
06/04/2021
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