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L'ENI SI SMEMBRA PER AFFRONTARE LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

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Nel mondo, i grandi gruppi multinazionali basati sull’energia stanno assumendo ruoli e obiettivi sempre più coraggiosi e ravvicinati nel tempo. Questo è ovvio per le compagnie che operano nelle energie rinnovabili, come Ørsted, Iberdrola ed Enel, in continua crescita; ma riguarda anche grandi multinazionali come la General Electric, che si presenta con successo sul mercato con le sue mega turbine eoliche.

È prevedibile che, dopo un calo degli investimenti nel 2020 e 2021, le compagnie Oil&Gas ripartiranno, ma con le incertezze legate al picco della domanda di petrolio. Per questo sono costrette a definire nuove strategie. Nei primi nove mesi del 2020, le sette maggiori compagnie petrolifere hanno ridotto le loro attività nel settore di 87 miliardi di dollari: “un cambiamento che riflette un accelerato spostamento fuori dai combustibili fossili”

In questa complessa strategia rientra l'operazione compiuta dall'ENI, che ha deciso di farsi in quattro per sopportare i costi della transizione energetica e governarla. Dopo gli idrocarburi norvegesi, condivisi con HitecVision dentro Vår Energi, è in arrivo una paritetica con Bp su quelli in Angola, e si negozia un tris con Alpha Petroleum sulle attività nel Regno Unito. L'azienda starebbe inoltre cercando un partner per replicare il modello in Medio Oriente.

Azzerare le emissioni nette entro il 2050, come stima il piano Eni presentato a febbraio, implica che i giacimenti di petrolio e gas, origine e cuore dell'azienda, sempre più escano dal suo perimetro per divenire società autonome. Il loro destino è finanziarsi sul mercato, pagando dividendi che consentono a un'Eni più "leggera" di salvaguardare i propri, e liberare capitale da destinare ai business più futuribili sgravando un debito che, complice il Covid, è risalito al 31% del patrimonio.

14/06/2021

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