La logica conseguenza dell’ennesimo colpo della Cina sul mondo delle criptovalute. La cosiddette monete digitali segnano un calo dopo l’ulteriore stretta proveniente da Pechino.
Il Bitcoin perde il 7,56% a 41.387,35 dollari, Ether e Litecoin cedono rispettivamente il 10,16% e l’11,16%, mentre il Dogecoin arretra dell’8,70%. Perché? Perché probabilmente è l’effetto della banca centrale cinese.
L’annuncio dello scorso week end, dunque, è solo la continuazione della ferrea presa di posizione da parte di Pechino, l’indicazione più chiara che la Cina vuole chiudere il commercio di criptovalute in tutte le sue forme. Almeno nel suo paese.
La tecnologia alla base di molte criptovalute, incluso i tanti pubblicizzati bitcoin, si basa su molti computer distribuiti che verificano e controllano le transazioni su un gigantesco registro condiviso noto come blockchain. Come ricompensa, le nuove “monete” vengono assegnate casualmente a coloro che prendono parte a questo lavoro, noto come “mining” di criptovalute.
“Le attività commerciali legate alla valuta virtuale sono attività finanziarie illegali”. Questo il punto di partenza da parte della People’s Bank of China, l’ultima mossa della repressione nazionale su quello che Pechino vede come pericolo, un investimento volatile e speculativo nel migliore dei casi, un modo per riciclare denaro nel peggiore.
Il trading di criptovalute è stato ufficialmente bandito in Cina dal 2019, ma ha continuato online, attraverso gli scambi esteri. Da qui la repressione significativa.
28/09/2021
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