Forse sì, forse no, ma a dirla tutta: chissà. È di una schiettezza quasi feroce il premier Mario Draghi quando ammette senza fronzoli che date certe sulle riaperture al momento non ce ne sono.
Per rimettere in moto l’incoming, dice, la carta da giocare è il certificato vaccinale: «Dobbiamo annunciare al mondo che siamo pronti ad accogliere chiunque ce l’abbia. E dobbiamo procedere velocemente per dotarcene anche noi», senza badare per ora alle questioni etiche. «Cominciamo a farlo – incalza il premier – dopo ci preoccuperemo di non discriminare chi non è vaccinato».
Per l’ex direttore della Bce, dunque, l’unica vera soluzione per fare ripartire il turismo è il passaporto sanitario. Mentre sullo sfondo avanza il battaglione di comuni e località turistiche pronte a fare anche carte false per diventare Covid free.
Un tema, questo, a cui però Draghi non accenna, così come dimentica il fronte outgoing: quella fetta di industria turistica che, seppur preziosa, subisce l’atavica colpa di “mandare gli italiani all’estero”. Un equivoco da cui, nonostante mesi di dissertazioni, non siamo riusciti a liberarci.
Ma Draghi spiazza la platea con un inatteso affondo: quello sulla meeting industry. «Ho chiesto a Garavaglia di preparare un piano per la riapertura delle fiere e degli eventi – annuncia – Ne abbiamo tanti tra maggio e novembre. Bisogna procedere svelti altrimenti perdiamo la stagione estiva», dice il primo ministro, secondo cui «il mondo migliore per rassicurare il Paese è guardare al futuro». Dove per futuro si intende, «non quello lontano, ma le prossime settimane».
14/04/2021
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